(di Anna Picardi)
- Una candidatura un po’ a sorpresa.
- Quando ho ricevuto la proposta, non mi restava molto tempo. Ho accettato, perché in fondo si trattava di trasferire nella campagna elettorale il lavoro che svolgo nel partito, Rifondazione Comunista.
- Ma la lista è l’Arcobaleno.
- Certamente. Questa lista ha due anime, una ecologista e l’altra che preferirei chiamare di solidarietà. Ma la solidarietà va estesa a tutto l’esistente, non solo come condizione di benessere comune, ma come unica possibilità di sopravvivenza per i singoli e per l’intero pianeta. In questo, la sinistra unita è l’unico schieramento sensibile alla problematica dei nostri tempi.
- E il lavoro, tema tradizionale della sinistra?
- Il lavoro non può essere isolato dall’intera problematica, ma va liberato dal concetto di sfruttamento, tipico del capitale. Sfruttare vuol dire distruggere: si sfruttano i fondali marini e si distrugge la fauna ittica, di conseguenza il futuro della pesca e dell’alimentazione. Il capitale sfrutta gli operai, mette a rischio la loro salute e la loro vita, poi li abbandona, sicuro che altri sono disposti a farsi sfruttare. Affidare i lavoratori ai capitalisti è come affidare la pecora al lupo. Allo stesso modo, affidare loro le sorti del pianeta. Una produzione non rispettosa dell’ambiente distrugge con una mano quello che costruisce con l’altra, risolve un problema oggi e prepara la catastrofe di domani.
- Mi sembra un discorso insolito per un comunista.
- È invece una visione sentitamente comunista. Le parole e i segni portano la polvere della storia. Perciò abbiamo bisogno di parole vergini che ci aiutino a riflettere. Il marxismo ha analizzato scientificamente il carattere egoistico del capitalismo. Questa analisi regge ancora ed è visibile a tutti, quando il capitale ignora ogni frontiera nazionale, è diventato globale e divora non solo i lavoratori, ma tutto il pianeta e gli stessi imprenditori. Il comunismo è un tentativo di soluzione, un invito a resistere, unirsi e ribellarsi: “Proletari di tutto il mondo, unitevi!”
- Ci sono ancora proletari?
- Ci sono ancora. Non come nell’Ottocento, ma con le caratteristiche d’oggi. Sono quelli che hanno un posto di lavoro, ma possono perderlo da un momento all’altro per una scelta del capitale, come i dipendenti della Nokia, sono soprattutto quelli che ne sono privi – privi di un diritto fondamentale! – i disoccupati, i precari, i pensionati con pensioni da fame, derubati del frutto del loro lavoro. Sono quelli che vivono alla soglia della povertà, alla quale fa da riscontro il lusso e la ricchezza sfrenata di chi si è arricchito sfruttando il lavoro degli altri. Anche un artigiano e un commerciante possono essere poveri; anche un ristoratore, strozzato da contratti capestro con le birrerie, è un lavoratore oppresso, che pure produce posti di lavoro. L’elenco si fa lungo, fino a contenere i ricercatori, i giovani, i bambini.
- E qual è la risposta, oggi? La rivoluzione?
- Una rivoluzione ancora più radicale: una conversione totale. Se la parola è impolverata, chiamiamola inversione di marcia, che poi è il significato originale di rivoluzione. La risposta è la solidarietà universale. Ecco la bandiera dell’arcobaleno, con la quale abbiamo dimostrato per la pace ai tempi della guerra del Golfo e del Kosovo. Perché il capitale si alimenta della guerra, pilota gli Stati e crea milizie private, e al profitto sacrifica interi popoli. La bandiera rossa ha lo stesso significato: “Hoch die internationale Solidarität!”La solidarietà deve estendersi a tutto il pianeta, a tutta la famiglia dei viventi, ricostruendo l’armonia ecologica che ci ha permesso di esistere.
- Ha senso votare per un piccolo schieramento, quando c’è il rischio che tornino a governare le destre?
- Non si può vivere e far politica con un berlusca puntato alla schiena, perché si rischia di far catenaccio, di annacquare i programmi, di stringersi nel mucchio per sopravvivere, come le pecore attaccate dal lupo. In questo modo s’ingoia di tutto: la svalutazione dei salari, l’aumento dei prezzi, i condoni fiscali, le spedizioni militari mascherate da interventi umanitari, le basi militari straniere. In questo modo soprattutto si dimostra ai cittadini che frodare lo Stato è un’impresa redditizia, che quel che conta è arricchirsi, che il fascismo è innocuo. Non è così che si cambiano le cose. Bisogna aver coraggio di cambiare radicalmente.
- Visto così, che senso hanno le elezioni fuori del territorio metropolitano? Non si tratta degli stessi problemi italiani?
- Le elezioni in circoscrizioni estere evidenziano la particolarità dei problemi della migrazione. Migrazione di cui nel paese d’origine nessuno vuole ricordarsi. L’italiano che vota, ricorda allo Stato che, anche se risiede all’estero, è un cittadino che non ha rinunciato al suo voto attivo e passivo, e conta sul sostegno del suo governo. Perciò il cittadino residente all’estero vota per altri migranti come lui perché sa che solo loro possono intendere dall’interno i suoi problemi e chiede loro di difendere i suoi interessi in parlamento.
- Quali problemi dell’emigrazione sono al centro della tua attenzione politica?
- La sicurezza sociale e la scuola. È il proseguimento del mio lavoro come operatore sociale nel Patronato ACLI e della mia precedente attività come insegnante ed educatore. Il diritto alla scuola, all’apprendimento e all’incremento della lingua e cultura italiana è stato oggetto della nostra battaglia negli anni settanta e ottanta. I problemi d’oggi sono quelli di allora, le cause dell’insuccesso dei ragazzi italiani ben note, la soluzione una sola, radicale: scuola a tempo pieno e sostegno didattico individuale.
La sicurezza sociale dei migranti è a maglie troppo larghe e non assicura abbastanza. I ritocchi ai regolamenti europei, più che portare giovamento, sono stati controproducenti. È urgente ottenere l’esportazione delle pensioni e dei sussidi sociali e l’esenzione dalle tasse sulle pensioni adeguate al minimo. Ma la problematica è vastissima e mutevole. Qui vale tenersi in contatto con gli operatori e con la base, perché un parlamentare è portavoce dei suoi elettori, non un esperto che sa tutto e decide in proprio. Questo intendo io per rappresentanza democratica.
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Nicol'o Gueci - "Sono venuto in Germania a 33 anni. Per una scelta di classe. Era l’unica scelta logica per le mie convinzioni, maturate negli anni ‘60 e ’70. Volevo vedere dove finivano i miei ex allievi quando parlavano di disoccupazione ed emigrazione, volevo incontrare i lavoratori allo stato puro. Se fossi rimasto in Italia, dove stavo “troppo” bene, mi sarei dovuto vergognare per tutta la vita.
Più tardi ho capito che anche i lavoratori possono identificarsi col padrone, sperare di divenire come lui, votare per lui. Ed è stato un colpo duro. Così ho deciso che dovevo continuare ad educare, aiutare a prendere coscienza. Ho trovato una base sempre più larga, di compagne e compagni, un gruppo dinamico e creativo che con il teatro, il cabaret, le canzoni, l’animazione culturale ha portato al voto comunale nella provincia di Böblingen, alla moltiplicazione dei corsi di lingua e cultura italiana, alla formazione di comitati di base genitori, a dimostrazioni vivaci che hanno scosso l’opinione pubblica. La nostra forza era la solidarietà internazionale.
Parlavamo ancora poco il tedesco, ma gridavamo, “Hoch die internationale Solidarität” e respiravamo solidarietà con gli spagnoli ai tempi di Franco, i greci ai tempi dei colonnelli, gli eritrei e i curdi, tutti i minacciati dall’imperialismo, dalla guerra, dall’oppressione del capitale. Così ci siamo inseriti nel movimento sempre più vasto della pace, del rispetto dell’ambiente, del rifiuto delle armi e di tutte le guerre esportate, delle oppressioni interne: Mutlangen, Gorleben, occupazione delle case abbandonate.
Poi ho lavorato per 25 anni nel Patronato ACLI, così ho assorbito come una spugna la problematica della migrazione e ho avuto chiara la dimensione dell’ingiustizia sociale. Dal movimento al Partito della Rifondazione Comunista. Perché è necessario stringere le fila quando la destra, anche in doppiopetto, persegue lo stesso scopo di una volta, l’occupazione totale del potere politico ed economico, negli stati e su tutto il pianeta. Perciò v’invito a votare. Il voto è un gesto di resistenza, una scelta di libertà. Votate
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